Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 19 settembre 2009

L'intolleranza verso "gli altri"

Abbiamo discusso fra noi e deciso di sviluppare in alcuni post (intercalati a quelli sugli altri argomenti del blog) il tema dell’incontro-scontro fra la cultura islamica (che giunge nel nostro paese soprattutto con gli immigrati provenienti dall’Africa) e la “nostra” (ma quale?) cultura. Questo però ci porterà a toccare questioni scomode.

Siamo sostanzialmente d’accordo su alcuni punti essenziali e quindi la serie dei post si svilupperà più come un incastro di vari tasselli che come un “dibattito”, anche se il dibattito potrà sempre venir fuori.
Ora vogliamo preliminarmente porre alcuni punti fermi sui quali non dovranno esserci fraintendimenti.

1) Non cercheremo di essere “neutrali”, né riflettendo sulla cultura islamica (peraltro variegata) né su quella “occidentale” (pure variegata), né su quella cattolica (monolitica sul piano dogmatico, ma comunque complessa e presente in vari modi). Non saremo neutrali perché valuteremo queste culture soprattutto per gli elementi di irrazionalità, intolleranza e chiusura mentale che includono (anche se in modi diversi) e perché siamo tutt’altro che sereni nei confronti di tali atteggiamenti.
Abbiamo l’impressione che l’intolleranza (verso se stessi e quindi verso gruppi identificati come “altri”) sia il collante di tutte le specificità culturali istituzionalizzate. Della cultura occidentale in cui siamo cresciuti non temiamo solo le vecchie e nuove forme di intolleranza, ma anche quella sofisticatissima forma di intolleranza che si traduce nella (recente) tolleranza occidentale “politicamente corretta”.

La nostra partigianeria non sarà quindi a favore di una delle varie “parti in causa”, ma a favore di un’altra “parte”, molto complessa e articolata, che purtroppo è così scomoda da non essere mai in causa: il laicismo più conseguenziale, il rispetto per le persone indipendentemente dalle loro idee, l’insofferenza per qualsiasi idea o azione non rispettosa delle persone o della razionalità o della ricerca scientifica, filosofica e interiore.

2) La nostra non neutralità ci porterà a giudizi severi (anche pesantemente svalutativi) nei confronti di convinzioni e comportamenti che consideriamo violenti, ma senza alcuna ostilità nei confronti delle persone o dei gruppi in questione perché crediamo che LA DISTINZIONE FRA IDEE E PERSONE sia fondamentale: la violenza sociale inizia appena si incollano le idee alle persone e quindi ci si sente legittimati a escludere, umiliare, perseguitare persone per via delle loro idee.
A nostro avviso le convinzioni più assurde e insopportabili perché distruttive non derivano da aspetti intrinsecamente malvagi o “bacati” delle persone. Anzi, pensiamo che le persone più distruttive siano prima di tutto distruttive verso se stesse (e quindi vittime di esperienze personali e formative devastanti) e diventino solo successivamente agenti di violenza, sopraffazione e intolleranza.
Dal nostro punto di vista, le persone distruttive non si appropriano della felicità altrui divenendo doppiamente felici. Creano infelicità restando infelici e non capiscono niente di ciò che sentono e fanno. Sono state vittime prima di diventare carnefici e anche quando ricavano superficialmente e apparentemente dei vantaggi vivono in realtà delle vite miserabili. Il nostro rifiuto di dividere il mondo in buoni e cattivi (intrinsecamente tali) ha come conseguenza la determinazione a contestare idee per noi inaccettabili senza togliere il rispetto a nessuno. Ci esporremo a fraintendimenti perché è debole nella nostra e in altre culture la netta distinzione fra persone e idee o azioni manifestate da tali persone. Eppure la distinzione va fatta.

L’intolleranza è odio per le persone e il buonismo è una complicità con idee sballate che non nasce dal rispetto per le persone idealmente “opposte”, ma dalla paura di sembrare intolleranti. In ultima analisi è odio verso se stessi.
Gli intolleranti attaccano (senza motivi razionali) altre persone con la scusa di voler combattere le loro idee (razionali o irrazionali). Di fatto, tuttavia, odiano tali persone, disturbano la loro vita e non sviluppano alcuna seria battaglia ideale.
I “buonisti” invece rinunciano a discutere o combattere idee (su cui sono in disaccordo o su cui non vogliono nemmeno sapere se sono in accordo o in disaccordo); dicono di voler rispettare le persone, mentre in realtà pensano solo alla propria immagine e alla figura che ci fanno. Non sono quindi realmente tolleranti, anche se risultano “politicamente corretti”.

La tolleranza non si può esprimere se si è spinti dalla paura. La tolleranza è possibile solo se si è spinti dal rispetto di sé e quindi degli altri. Se gli altri ci insegnano qualcosa ringraziamo. Se ci lasciano in pace stiamo tranquilli. Se ci dicono cose che ci sembrano cazzate, dissentiamo. Se sbandierano idee che minacciano la nostra vita, combattiamo anche ferocemente tali idee cercando comunque di non essere distruttivi con le persone. Le persone non vanno aggredite, salvo nei casi in cui ci aggrediscono davvero. Solo in quel caso la distinzione fra persona e idea viene sospesa perché l’aggressore ha sospeso tale distinzione prima di noi.

Non abbiamo alcun motivo per “concedere” alle idee degli altri una legittimità, perché le loro idee sono legittime anche senza il nostro permesso. Ci sembra però assurdo e in fondo poco rispettoso fingere comprensione per idee confuse, incoerenti, non sostenute dai fatti, irrazionali o tali da produrre effetti negativi. La critica, per noi, è segno di rispetto e di speranza in qualche possibilità di comprensione. Cercheremo quindi di essere umanamente corretti, a costo di essere “politicamente scorretti”.

3)Consideriamo come una deriva del pensiero (di qualsiasi pensiero) la logica dualistica riassumibile in una contrapposizione fra “noi” e “loro”. Appena si generalizza schematicamente una componente della società (“tutti loro”: loro chi?) e ci si distingue con la stessa schematicità (“tutti noi”: noi chi?) si compie un crimine di pace che facilmente diventa un crimine di guerra.
Siamo allergici ai “punti di vista” che identificano come gruppi omogenei dei gruppi identificati oggettivamente da aspetti decisamente irrilevanti (“gli” extracomunitari, “gli” islamici, “i” cattolici, “gli” occidentali, “le” donne, “i” maschi, “i” giovani, “i” politici, ecc., che in realtà sono persone molto diverse fra loro). Qualsiasi gruppo può avere delle caratteristiche comportamentali, ideologiche o religiose statisticamente prevalenti e su queste la polemica può essere, nei limiti giustificati dalle statistiche, anche doverosa, ma nessun gruppo può essere considerato come assolutamente omogeneo.
Riteniamo, quindi, inaccettabile e pericoloso qualsiasi punto di vista pregiudizialmente imperniato sulla dicotomia “noi-loro” E qui viene la tesi scomoda: riteniamo inaccettabile questo pregiudizio dualistico SIA quando si manifesta per emarginare, svilire, sfruttare, SIA quando si manifesta per proteggere, tutelare, dare sostegno (“i poveri extracomunitari”, anche quando sono intolleranti, “i poveri giovani”, anche quando sono distruttivi, ecc.).
Tutte le categorizzazioni rigide nascono da una divisione e purtroppo da una divisione interiore non risolta. Fuori dall’incubo del manicheismo ci sono solo le persone, tutte sacre, tutte con le stesse potenzialità, tutte da rispettare e tutte da contrastare se non hanno un briciolo di rispetto per i loro simili.
4) Ragionare evitando la dicotomia "noi/loro", "buoni/cattivi", "vittime/oppressori", cioè rinunciando a questo schema comodo ma devastante, comporta dolore.
Il dolore di non avere certezze facili, di non avere un’appartenenza sicura, di dover pensare con la propria testa.
Il dolore di radicare la propria identità in cose delicate (come il proprio bisogno di una vita buona e rispettata) anziché in cose “facili” (il diritto di salvaguardare idee giuste, chiare, scontate e condivise dal gruppo “giusto”).
Questo dolore è insopportabile per i bambini e purtroppo sembra insopportabile anche per gli adulti che, appena possono, si aggrappano a qualche verità assoluta che non vogliono mollare come se fosse un salvagente. E sono disposti a sprecare tutta la loro vita e a massacrare le idee (nemmeno capite) degli altri ed anche a nutrire odio per gli altri in quanto persone, per non sentire che è davvero difficile vivere una buona vita. Difficile, ma entusiasmante. Doloroso, ma fonte di autentica felicità.

Elisa
Gaetano
Gianfranco
Marcello
Silvia

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