Premessa generale (relativa a tutti i post)

Questo blog esiste grazie ai contributi di vari autori. Il gruppo iniziale (che contiamo di allargare) non è omogeneo per molti aspetti (e non potrà né dovrà mai esserlo), ma condivide l’idea che il tempo della vita meriti di essere vissuto con consapevolezza e passione, anche se la cultura di massa, i rituali sociali .. (continua a leggere la premessa generale)

sabato 2 ottobre 2010

La banalità della politica



I.



Hannah Arendt ha chiarito bene che il male è banale (1964, La banalità del male, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1964 (rist. 2009)) mostrando che anche la partecipazione attiva a grandi atrocità non deriva da chissà quale “diversità” dell’animo umano, ma da normalissime modalità psicologiche di accondiscendenza al potere. In realtà già prima della Arendt la tendenza alla sottomissione irrazionale all’autorità, da parte di persone cresciute in famiglie “normalmente insensibili” era stata oggetto di studi psicologici (cfr. Wilhelm Reich, 1946, -ristampa, corretta e ampliata, dello scritto del 1933- Psicologia di massa del fascismo, trad. it. Sugar, Milano, 1972; cfr. anche le varie ricerche della scuola di Francoforte e di vari psicologi statunitensi sulla “personalità autoritaria”). Il male è quindi banale e la crudeltà è, purtroppo, normale. Non è determinata da arcangeli “caduti” che seducono eccezionalmente alcuni esseri umani, ma deriva da una paura diffusa nei confronti delle emozioni profonde (soprattutto, ovviamente, di quelle dolorose). Questa normale e banale “mancanza di contatto emotivo” si traduce in rapporti umani non “autentici”, poveri di empatia e tutto ciò si traduce a sua volta, facilmente, in forme di crudeltà.


Il “male” non è, quindi, rappresentato solo dai killer di professione o dai torturatori di uno stato poliziesco, ma dai padri che “lavorano tanto” e che “non hanno il tempo per pensare a certe cose” e dalle madri che vivono odiando i mariti e demolendo la loro immagine davanti agli occhi dei figli. Il male nasce dalla paura dei bambini di sentire bisogni profondi in relazioni famigliari prive di amore e normalmente “povere” a livello emozionale. Si mantiene perché questi bambini crescono con l’idea di non poter gestire il dolore e di voler vivere sentendo poco. Si consolida quando chi sente poco entra nel mondo del lavoro o costruisce una famiglia o acquisisce posizioni di responsabilità. Finisce per avere effetti socialmente rilevanti quando persone con un cuore ormai “spento” e forti ambizioni appaiono come “degne di fiducia” a tante persone emotivamente ottuse e ottengono ruoli di potere a livello politico.


Se consideriamo i periodi più bui della storia, caratterizzati dall’ascesa di forze reazionarie (come nel nazi-fascismo europeo e nelle dittature sudamericane), dalla burocratizzazione autoritaria di processi rivoluzionari (come nella Russia sovietica), dall’istituzionalizzazione di teocrazie demenziali (come nel nostro storico Stato pontificio e nei lontani stati fondamentalisti islamici) ci troviamo a registrare l’incontro fra i programmi apertamente violenti e l’ottusa acquiescenza di vaste masse. “Se lo pensano in tanti, sarà vero!”, “Se lo fanno tutti, come posso oppormi?”, “Tesoro, fidati della maestra”.


C’è una sorta di “selezione emozionale” dei personaggi politici che si aggiunge alla selezione clientelare o mafiosa: più i personaggi politici sono “poveri” e “banali”, più piacciono all’elettorato “medio”. Si gongolano in TV dicendo cazzate e diventano responsabili del destino di una nazione oppure diventano responsabili (in realtà, “irresponsabili”) dell’opposizione a governi corrotti e indifferenti alla dignità degli esseri umani.


Se il male è banale perché è un prodotto umano “ordinario”, la politica gestita ai massimi livelli da persone gradite al “popolo della TV” è facilmente una politica banale, banalmente produttrice di miseria e di offese alla dignità umana.


Ciò che addolora di più non è il fatto che ci siano ingiustizie sociali, corruzione politica e che ci siano governi che amministrano l’iniquità. Questo dato di fatto è scontato: la presenza del male inevitabilmente diventa ingiustizia sociale, ideologia del nulla e organizzazione politica criminale. Ciò che non sembra invece scontato, ma che è purtroppo quotidianità, è la banalità dei programmi “alternativi” delle forze politiche “democratiche e di sinistra”.


Quando fanno del loro meglio, le “forze del bene” lasciano le iniziative all’arroganza del potere ed esprimono le loro “vivaci proteste” in un totale vuoto di idee alternative. Fanno del loro meglio, quindi, stando a rimorchio del male (pur contraddicendolo). Ma non fanno sempre del loro meglio. Fanno anche del loro peggio. E a tale proposito non mi riferisco principalmente ai “tradimenti” palesi dei valori dichiarati (corruzione anche a sinistra o patti scellerati in nome del “meno peggio”), ma mi riferisco ai “peccati di omissione” nel prospettare una società diversa.


Politici “banalmente di sinistra” prospettano alternative che si riducono ad una migliore amministrazione della società esistente. Elettori banalmente di sinistra trovano del tutto ragionevoli tali proposte. E così le sinistre o perdono le elezioni o governano in modo “normalmente fiacco” gettando le basi di successive sconfitte elettorali. “Il male che circola nella società nasce spesso da un equivoco: ci si sente a posto perché ‘non si è fatto niente di male’, perché non si ha alcuna responsabilità. Ma in ciò la colpa maggiore: gli uomini si danneggiano non tanto perché si fanno del male ma perché si disinteressano gli uni degli altri. E quest’atteggiamento lascia spazio a coloro che il male lo perpetrano davvero” (S. Natoli, 2006, Sul male assoluto – Nichilismo e idoli nel Novecento, Morcelliana, Brescia, p. 64).


Ciò che manca alle organizzazioni sociali, culturali e politiche “progressiste” è infatti l’iniziativa: l’impegno attivo nell’immaginare un mondo migliore, nel proporre temi “scomodi”, non “scontati”, nel concepire una politica a misura dei bisogni profondi della persona. A che serve infatti la politica se non tutela a livello sociale lo sviluppo delle potenzialità di tutte le persone? La politica del “nuovo” serve se immagina novità e se intende garantire una vita veramente dignitosa a livello materiale per tutti, ma soprattutto una vita dignitosa anche su piani meno grossolani.


In ogni caso, oggi, la società migliore prefigurata dalle forze progressiste presenti è una società di merda con ingiustizie meno gravi.


Anche chi respinge una società in cui la vita umana vale meno dei profitti di una banca ha paura di immaginare un mondo basato su altri valori: un mondo inteso come una comunità di persone e come un’organizzazione volta a tutelare la dignità di tutti (che include il diritto di fare la spesa, ma che non si riduce a tale opportunità). Un mondo misurato sulla qualità della vita delle persone e non solo sullo stato complessivo dell’economia.


Già Robert Kennedy aveva affermato che il PIL non è un autentico indicatore del benessere. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. (…) Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago (...). Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell'equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta” (dal discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University).


Più di recente gli Human Development Reports del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite hanno iniziato a contemplare fra gli indicatori della qualità della vita dei fattori meno riduttivi e parziali del PIL e tra questi vari aspetti della società che indicano in modi più adeguati il livello di sviluppo e la qualità della vita nei vari paesi. “Le cure da prestare ai bambini, agli anziani e alle persone con handicap mentali e fisici sono una parte significativa del lavoro che è necessario fare in ogni società; inoltre, nella maggior parte delle società, esse sono fonte di ingiustizie. Una qualunque teoria della giustizia ha bisogno di pensare a questi problemi sin dall’inizio, nella pianificazione delle istituzioni di base, e soprattutto nella sua concezione dei beni primari” (M. C. Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana, trad. it. 2002, Il Mulino, Bologna, p. 112). "Spesso reddito e patrimonio sono considerati il principale criterio per valutare il successo umano. Proponendo uno spostamento radicale del centro di interesse dai mezzi alle effettive opportunità della persona, l'approccio delle capacità mira a cambiare radicalmente i consueti schemi valutativi cui ricorre larga parte delle analisi economiche e sociali "(A. Sen, 2009, L'idea di giustizia, trad. it. Mondadori, Milano, 2010).


Toccare questi temi, significa attribuire alla società delle responsabilità generalmente scaricate sulle famiglie, attribuire un valore al tempo libero dei cittadini, favorire modalità diverse di gestione della vita quotidiana, tutelare diritti in genere non riconosciuti.


Quello che getta in un profondo sconforto è il fatto che se domani, nel nostro paese potesse governare una coalizione di partiti democratici e di sinistra, ci troveremmo (come è già capitato) con un governo senza progetti. I burocrati del progresso dedicherebbero alcuni mesi a cancellare tutte le leggi-vergogna degli ultimi anni per ristabilire un minimo di legalità, e questa sarebbe un’opera buona che, però, ci riporterebbe alla società di merda di alcuni anni fa. E poi? Qualche estensione della cassa integrazione? Qualche detrazione ragionevole? Qualche incentivo volto a ridurre la disoccupazione? Tutti dettagli dello stesso scenario. Tutti ritocchi ad un presente inteso come destino, come realtà a cui rassegnarsi.

II.

Ci sono problemi che i politici progressisti riescono ad individuare (quelli più evidenti): crisi economica, corruzione, criminalità organizzata, disfunzioni nella sfera della giustizia, della sanità, della scuola e della ricerca. Tali problemi sono individuati, ma non collegati ad una prospettiva articolata di riforme radicali centrate su qualche forma di redistribuzione della ricchezza. Sono riportati in discorsi vaghi che includono la prospettiva di vaghi miglioramenti. Eppure tali problemi richiedono delle risposte e le risposte avranno dei costi, e tali costi non dovranno ricadere sulle spalle dei soliti cittadini abituati a “sacrificarsi”. Le risposte politiche ai problemi economici sono credibili se includono la volontà politica di incidere sugli equilibri di potere e di incidere sulla distribuzione della ricchezza, dato che oggi il 10% della popolazione controlla metà della ricchezza del nostro paese (http://www.repubblica.it/economia/2010/07/05/news/inchiesta_redditi-5392064/?ref=HREC1-2).


I problemi, se non vengono ridotti a slogan per raccattare voti sono davvero gravi e di difficile soluzione perché qualsiasi politica realmente orientata ad una redistribuzione della ricchezza mina gli equilibri consolidati del potere. Di un potere che ha radici profonde e che travalica nelle sue manifestazioni più arroganti e distruttive i confini degli stati nazionali.


Chi ha poco denaro utilizza le sue entrate o i suoi risparmi per “concedersi” dei piaceri e per garantirsi alcune sicurezze. Nelle fasce sociali medio-alte, medie e basse, chi si trova un po’ di denaro in più pensa infatti di comprare qualcosa che prima non poteva permettersi (una seconda casa o una bicicletta, a seconda dei casi) o pensa di mettere soldi da parte per poter far fronte ad eventuali necessità. Nelle fasce sociali più alte, invece, le persone possono già permettersi molte cose e hanno da parte soldi per tutte le evenienze e magari anche per figli e nipoti. In questi casi, quindi, il denaro personale viene impiegato per produrre altro denaro e per controllare più aspetti della società. Oltre una certa soglia, il denaro è semplicemente potere e controllo sulla vita degli altri e ciò crea problemi non solo sul piano della distribuzione del reddito, ma sul piano della qualità della vita di tutti e dell’effettivo funzionamento della democrazia: “per arrivare alla vera democrazia bisognerebbe smantellare l’intero sistema capitalistico delle multinazionali, perché è radicalmente antidemocratico” (Noam Chomski, 2002, Capire il potere, trad. it. Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 193).


La concentrazione del potere economico in aziende talmente grandi da non essere più reali forme di impresa sotto la responsabilità di precise persone, ma realtà pachidermiche ed impersonali, ha creato problemi inimmaginabili agli inizi del secolo scorso. Alle “normali” possibilità di “ingiustizia” si è aggiunta una forma “strutturale” di ingiustizia. Nelle Corporations le decisioni vengono di fatto prese da singole persone a vari livelli della gerarchia aziendale, ma le singole persone sono facilmente sostituibili e quindi operano necessariamente sulla base di criteri sovrapersonali che sono quelli “puramente aziendali”. A livelli così distanti dalla vita reale delle persone, le scelte vengono fatte sulla base di criteri che prescindono totalmente da valutazioni etiche o semplicemente umane. Anche la responsabilità di tali scelte è talmente “frazionata” o “diffusa” che facilmente le single persone non si sentono responsabili del progetto che portano avanti. Si veda, a questo proposito il film The Corporation di Mark Achbar, Jennifer Abbott & Joel Bakan (DVD + libro), Feltrinelli, Milano).


Poiché non viviamo in una società socialista e non contempliamo nemmeno più la possibilità di un “superamento” del capitalismo, dobbiamo dare per scontato che permangano fasce sociali medie e basse e fasce sociali alte. La politica può regolare i rapporti fra le classi, ma non ha più fra i suoi obiettivi una messa in discussione delle classi. Dobbiamo quindi parlare di come la politica si propone di “regolare” i rapporti fra le classi, dato che ha un certo margine di azione e dato che in un sistema democratico è controllata anche dalle persone che ricche non sono e che costituiscono la stragrande maggioranza). In altre parole, questa grande maggioranza non si è rivelata storicamente abbastanza forte da poter rovesciare il capitalismo, ma potrebbe essere abbastanza forte da regolare in modi più equi e ragionevoli i rapporti sociali e le regole della convivenza nella società. In tale campo di possibilità si sviluppa (o almeno dovrebbe svilupparsi) la dialettica fra destra e sinistra, cioè fra difesa dei privilegi e istanze egualitarie e libertarie.


C’è un solo modo di fare davvero una politica di sinistra: colpire i grossi centri di potere anziché i piccoli imprenditori. Fare una politica fiscale che reindirizzi l’intera economia su nuovi binari. Fare una lotta all’evasione fiscale qualitativamente diversa: non già perseguitando i piccoli contribuenti, ma anzi rendendoli alleati e collaborativi con una semplificazione radicale del prelievo fiscale e controllando in modo diretto e sistematico le grandi imprese e i “percorsi” dei capitali finanziari.


Purtroppo, segmenti significativi dei vertici della sinistra sono drammaticamente compromessi con il potere e quindi collusi o ricattabili. Tuttavia, qualcosa può sempre cambiare e si può auspicare da una nuova leadership un cambiamento di prospettiva associato ad un ricambio di persone.

III.


Ora, la “grande politica” (quella che si occupa di problemi economici strutturali) è collegata a doppio filo alla “politica del quotidiano” cioè al versante della politica che tratta questioni solo indirettamente collegate con gli equilibri di potere. Entrambe le forme di attività politica possono essere banali e fonti di sofferenza, ma entrambe possono essere occasione per un miglioramento complessivo della qualità della vita delle persone. E’ fondamentale che gli operai abbiano la sicurezza di arrivare alla fine del mese e che gli imprenditori non debbano essere condizionati dalla criminalità organizzata. E’ però altrettanto importante che i bambini oltre ad essere nutriti siano adeguatamente accuditi, che gli anziani, i disabili, le minoranze non debbano subire umiliazioni, che la giustizia, la sanità e la scuola funzionino al servizio delle persone e non costituiscano fattori di ulteriori sofferenze. E così via.


La politica del quotidiano è doppiamente legata alla grande politica, anche se i rappresentanti dei partiti “progressisti” non lo hanno ancora capito sia perché in qualche misura le gravi iniquità di tipo economico sono collegate a fenomeni di irrazionalità nel rapporto fra persona e società, sia perché le persone perdono fiducia nella politica se la politica si occupa di problemi “strutturali” mentre calpesta la loro dignità, viola la loro vita privata e disturba la qualità della loro esperienza quotidiana. Le forze politiche progressiste e di sinistra non coinvolgeranno mai la stragrande maggioranza dell’elettorato finché prospetteranno miglioramenti strutturali (peraltro vaghi) nel quadro di una società non rispettosa della dignità delle persone.


Sulla base di queste premesse, sia per motivi di coerenza, sia per ragioni elettorali (l’ottenimento di un coinvolgimento da parte di chi non crede ancora o non crede più nella politica) le forze di sinistra dovrebbero affrontare i problemi che hanno sempre trascurato e dovrebbero, quindi, affrontarli in modi non radicati nella loro mentalità.


Senza con ciò togliere nulla al valore di una politica volta a rimettere in moto l’economia, merita quindi molta considerazione una bella lista di questioni che, se adeguatamente affrontate, migliorerebbero notevolmente la società e genererebbero nelle persone un senso di appartenenza alla grande comunità di cui fanno parte.


1. La società non tutela adeguatamente i neonati ed i bambini. Le madri che svolgono un lavoro dipendente non possono allattare ed accudire i figli per tutto il primo anno di vita. Dopo sei mesi devono tornare al lavoro a vantaggio dell’azienda e danneggiando irreparabilmente gli adulti di domani. I costi umani di questa trascuratezza sono devastanti. Se gli economisti non fossero ciechi comprenderebbero anche il costo economico di questo disastro.


2. Gli invalidi e gli anziani sono abbandonati dalla società e affidati alle famiglie, come se le famiglie fossero composte dalle persone più adatte e disponibili a svolgere quel ruolo, anche se in molti casi ciò non accade. Non vengono assistiti adeguatamente dalla società gli invalidi e gli anziani che non hanno una famiglia, quelli che non possono contare sul sostegno dei famigliari e nemmeno quelli che non vorrebbero essere di peso ai famigliari o non vorrebbero dipendere dai famigliari.


3. Non solo lo stato delega alle famiglie l’assistenza degli invalidi e degli anziani, ma non sostiene adeguatamente le famiglie che hanno al loro interno degli invalidi o degli anziani, anche se è chiaro che in questi casi tali famiglie si trovano ad avere una routine quotidiana completamente alterata e a dover sostenere dei costi che altre famiglie non sostengono.


4. Non sono tutelati dalla società gli adolescenti minorenni che stanno male in famiglia e desiderano non dipendere dalla famiglia.


5. Le persone che perdono il lavoro o non trovano un lavoro adeguato alle loro aspirazioni non possono contare sulla società: non possono offrire temporaneamente il loro tempo e le loro energie in cambio di un tetto e di uno stipendio minimo. Sono abbandonate “alle circostanze” (la cassa integrazione se c’è e finché dura, la famiglia, le occasioni di lavoro precario o irregolare, ecc.).


6. La completa eguaglianza fra uomini e donne nei diritti, nei rapporti sociali, sul piano del lavoro e su quello dello sviluppo delle capacità personali non è ancora stata raggiunta, ma è un obiettivo che non può essere rinviato.


7. Anche se gli animali non votano, sono nel cuore di tante persone. Le persone che hanno degli animali sono però limitate nella loro libertà come se fossero degli appestati. Mancano sia adeguate tutele per la vita degli animali in generale, sia adeguate tutele per chi ha degli animali. Si considerino le regole applicate nei luoghi pubblici, nei condomini, ecc. Le persone che vivono con degli animali subiscono discriminazioni e pregiudizi, e subiscono tutto ciò “alla luce del sole”. Se il proprietario di un albergo è razzista non può dire “non accettiamo marocchini”. Almeno è costretto a mentire e a dichiarare che non ha stanze libere. Tuttavia, la regola “non sono ammessi animali” è normalmente accettata.


8. Appena una persona comincia a “muoversi” nella società si trova invischiata in una giungla di norme che la costringono a scegliere fra desistere, subire condizionamenti o agire illegalmente. Le norme sociali dovrebbero servire per impedire abusi e ingiustizie, non per perseguitare chi vuole semplicemente vivere la propria vita. Occorrono autorizzazioni, documentazioni e versamenti per fare le cose più semplici e questo toglie alle persone o la possibilità di prendere iniziative valide o il piacere di farlo in un clima di rispetto.


9. Le persone hanno, nei confronti della società, la responsabilità delle conseguenze di ciò che fanno e devono rendere conto delle loro azioni alla società nei casi in cui producono dei danni. Tuttavia, oggi, non hanno la libertà di rispondere solo a se stesse delle loro scelte personali e delle loro abitudini. Nella situazione attuale lo Stato interviene pesantemente sulla vita privata delle persone perché stabilisce quali abitudini “non vanno bene”, magari valutando le conseguenze di tali abitudini. In questa logica lo Stato potrebbe decidere che sentire musica rock non va bene perché quella musica non è “buona”, oppure potrebbe decidere che va vietata perché “agita gli animi” e può favorire comportamenti antisociali. Questo intervento dello Stato sulle scelte musicali delle persone sembra bizzarro o grottesco, eppure lo Stato fa regolarmente scelte di questo tipo quando vieta l’uso di droghe pesanti e leggere che costituiscono una (pessima) abitudine, ma semplicemente un’abitudine personale. La depenalizzazione delle droghe, oltre ad azzerare tutti i comportamenti criminali legati al commercio di tali sostanze, agevolerebbe (portando allo scoperto il problema senza complicazioni poliziesche) anche il recupero di molti tossicodipendenti. Soprattutto costituirebbe un atto di rispetto per le persone che comunque hanno il diritto di vivere la propria vita a modo loro, finché non delinquono.


A maggior ragione ciò vale per chi non consuma “droghe” ma sigarette. E’ in atto una persecuzione sistematica di una abitudine sicuramente discutibile, ma molto radicata nella nostra cultura e significativa nella vita quotidiana di moltissime persone. E’ assurdo che non siano autorizzate né delle sale per fumatori (sale normali con le finestre e non con impianti che costano decine di migliaia di euro) nei ristoranti, nei bar, negli ospedali, e in tutti i locali pubblici, né delle carrozze per fumatori nei treni. Nei luoghi pubblici si fa vita sociale, nei mezzi pubblici si sosta per ore, negli ospedali si passano addirittura ore di tensione e disagio. Chi ha la mania (disgustosa e anche dannosa) di masticare “gomme” può farlo, mentre chi ha l’abitudine di aspirare una sigaretta deve subire frustrazioni gratuite o che si aggiungono a volte a situazioni di disagio.


Affermo questo principio perché mi sembra giusto, non perché sono un fumatore: infatti affermo lo stesso principio per le restrizioni all’uso dell’alcol, pur non essendo abituato a bere. Lo stato di ebbrezza è sicuramente pericoloso se si è alla guida di un veicolo, ma in genere non è tale da produrre danni. Le restrizioni vigenti sono demenziali: con due birre si supera la soglia consentita del tasso alcolico (http://www.beppegrillo.it/2009/11/chi_mangia_un_boero_finisce_in_galera.html?s=n2009-11-12). Ovviamente le normative vigenti non impediscono a persone mentalmente instabili di “ubriacarsi di brutto”, guidare in modo spericolato e seminare morte. Le restrizioni stabilite per legge, tuttavia, colpiscono in modo intrusivo e violento la vita privata delle altre persone, che se sono ad una festa devono porsi il problema di fare o non fare un brindisi. Non solo, ma chiunque, anche chi è astemio, deve sottoporsi ai test “del palloncino” se una pattuglia decide di fare un controllo.


Lo stesso si deve dire per le norme che regolano la guida degli automobilisti e dei motociclisti. La legge non stabilisce che, in caso di incidente, chi non utilizzava le cinture di sicurezza o non portava il casco non abbia gli stessi diritti degli altri. La legge prevede che si debba utilizzare sempre e comunque la cintura di sicurezza (o il casco). Ciò è assurdo, ma è ritenuto assolutamente normale. A quando la normativa per l’utilizzazione del preservativo o della pillola (dato che le gravidanze indesiderate sono una vera piaga sociale)? O l’obbligo di portarne in tasca un modello approvato dal Ministero della sanità?


Lo stesso si deve dire per l’intero impianto concettuale del codice della strada che include delle velocità massime stabilite a priori, indipendentemente dalle capacità di guida, dal tipo di vettura e dalle condizioni metereologiche. Un conto è tenere conto della velocità in caso di incidenti e un conto è rovinare la vita a tutti gli automobilisti (con regole ossessivamente riproposte dalla segnaletica) e taglieggiarli pure con le sanzioni.


10. I rapporti dei cittadini con le Aziende che forniscono servizi indispensabili sono essenzialmente violenti. Le bollette sono incomprensibili, le letture non vengono effettuate, si accumulano “consumi presunti” e conguagli; in caso di errori il foro competente è a Roma o chissà dove. E il cittadino è indifeso a volte anche se cerca il sostegno di un’Associazione che tutela i consumatori.


11. La società nega alle persone che scontano pene detentive in situazioni di sovraffollamento, il rispetto della loro dignità ed anche la possibilità di scontare la pena in modo socialmente utile.


12. La società non facilita l’integrazione degli immigrati (e di tutte le minoranze) nella società. La mancanza di servizi e di sostegni adeguati aumenta la tensione fra chi ha bisogno di trovare una collocazione nella società e chi rappresenta una parte della società già integrata ma fragile perché afflitta da ignoranza e pregiudizi.


13. La società aggiunge ai carichi di lavoro delle persone la mole incredibile di adempimenti burocratici da effettuare nel tempo libero. Nessuno oserebbe proporre un’ora al giorno di lavoro non retribuito in fabbrica, eppure tutti accettano che tante ore libere siano semplicemente “requisite” dallo Stato per lo svolgimento di rituali burocratici: rituali fiscali, stradali, comunali, regionali, sanitari e di tutti i generi.


14. La società non solo pretende che le persone paghino le tasse, ma pretende che dedichino ore ed ore per certificare la correttezza del calcolo e del pagamento dei loro tributi. Non collabora con i cittadini per accertare i tributi dovuti e rendere possibili i pagamenti, ma pretende che i cittadini dimostrino di aver pagato delle tasse stabilite in base a criteri che solo i commercialisti comprendono (e che esigono parcelle che costituiscono un’ulteriore tassazione). Oggi, in pratica, si deve perdere tempo e sprecare denaro per pagare le tasse. La cosa è assurda, ma è ritenuta da tutti normale. Semmai si discute su un punto percentuale in più o in meno nel calcolo dei prelievi.


15. La gente non ha paura se incrocia un tizio con una pistola nella cintura: pensa “perché mai dovrebbe avercela con me?!”. La gente ha paura se incrocia un poliziotto, un carabiniere, un vigile urbano. Appena vede la divisa pensa “COSA posso aver sbagliato?”.


16. Il sistema giudiziario non è un punto di riferimento per chi chiede giustizia (come l’ospedale è, in qualche misura, un punto di riferimento per chi chiede assistenza medica). La persona che ha subito un danno deve fare riferimento ad un avvocato e avviare una procedura interminabile. Questo porta le persone a non sentirsi parte della comunità, dato che esiste una società che non tutela le persone, ma fa giustizia secondo criteri astrattamente equi.


17. Il servizio sanitario, in ogni caso è un servizio ridotto all’essenziale e non contempla fra i suoi compiti “l’aver cura delle persone” che hanno bisogno, ma solo il “curare” i loro corpi. Nessun impegno a rendere gli ospedali dei luoghi accoglienti per chi passa momenti di particolare vulnerabilità: va già bene se vengono fatte le lastre in tempo e se si è ricoverati in una stanza con altre persone.


18. La società non si occupa adeguatamente della formazione scolastica dei cittadini dal momento che finanzia senza motivo le scuole private. La società non si occupa nemmeno della formazione universitaria e della ricerca scientifica perché concepisce ormai le Università come delle Aziende.


19. La laicità dello Stato è gravemente compromessa sia dai Patti lateranensi, sia da ulteriori privilegi accordati alla chiesa. Ciò turba la coscienza dei veri credenti, incide negativamente sulla tutela della libertà di pensiero, crea le premesse per analoghe rivendicazioni da parte di altre comunità religiose.


Se la sinistra si presentasse alle elezioni violando i consueti tabù della politica e affermasse di voler rendere più responsabili ma più liberi i cittadini rispettando la loro la dignità (ora calpestata da tante leggi assurde), stupirebbe tante persone. Se certi partiti reazionari stupiscono le persone più ottuse con idee balorde, la sinistra potrebbe stupire tutte le altre persone con idee intelligenti. Questo però significherebbe fare del bene con la politica e uscire dalla banalità.


Gianfranco






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